La Sindrome di Angelman: nuove prospettive terapeutiche
La ricerca prosegue in modo intenso e si aprono finalmente per i nostri bambini spiragli concreti di speranza.
Le notizie che negli ultimi mesi si stanno susseguendo riempiono tutti noi di fiducia per il futuro.
Rimangono tante domande, che sono le domande che ogni genitore Angelman si pone.
In particolare riguardo alle implicazioni delle nuove scoperte del professor Ben Philpot.
Abbiamo chiesto al nostro comitato scientifico di analizzare lo scenario attuale in modo da capire meglio quali sono i filoni di ricerca più promettenti.
I dottori Filippo Palestra, Paola Martelli e Elisa Fazzi U.O. degli Spedali Civili di Brescia hanno raccolto la nostra richiesta e firmato questo articolo.
Crediamo dia una fotografia molto utile e comprensibile per tutti noi genitori.
Generalità.
La Sindrome di Angelman, descritta dal pediatra britannico Harry Angelman negli anni ‘60, è una malattia genetica causata da un difetto dell’espressione della copia materna di un gene denominato UBE3A, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 15. La prevalenza della malattia varia tra 1/10000 e 1/20000 bambini nati vivi e per questo viene riconosciuta come Malattia Rara.
I bambini affetti non presentano caratteristiche peculiari alla nascita e la storia prenatale e perinatale è solitamente normale.
I segni e sintomi iniziali sono solitamente aspecifici e sono costituiti da ipotonia e disturbi dell’alimentazione. Nel primo secondo/anno di vita si delinea un quadro di ritardo psicomotorio di grado variabile ma spesso severo nel quale si inseriscono gli aspetti clinici propri della sindrome caratterizzati da un grave disturbo dello sviluppo del linguaggio, compromesso soprattutto sul versante espressivo, dalla presenza di disturbi del movimento e dell’equilibrio con tremore agli arti e atassia della marcia e da disturbi del comportamento con eccitabilità, frequenti episodi di riso immotivato e riduzione delle capacità attentive e iperattività.
Possono essere presenti stereotipie delle mani che si osservano anche in patologie dello spettro autistico.
In più dell’80% dei casi sono segnalate inoltre una riduzione della crescita della circonferenza cranica con microcefalia acquisita e la presenza di crisi epilettiche (prevalentemente assenze, crisi miocloniche e crisi atoniche) che tendono ad insorgere tra il primo ed il terzo anno di vita e ad avere una risposta non sempre completa ai farmaci antiepilettici. L’elettroencefalogramma presenta 3 patters tipici caratterizzati da attività “theta” di grande ampiezza (~200 mcv) diffusa o localizzata sulle regioni posteriori e/o attività “delta” con scariche generalizzate di grande ampiezza (> 300 mcv) ritmiche talora prevalente sulle regioni frontali con frequenti punte superimposte e/o da scariche posteriori costituite da attività di spikes e sharp-waves a 3-4 Hz, di grande ampiezza, spesso asimmetriche e facilitate dalla chiusura degli occhi.
Altre caratteristiche cliniche, che non sono tuttavia sempre presenti, sono costituite da plagiocefalia (occipite piatto), tratti dismorfici del volto (bocca ampia, denti distanziati), strabismo, cute ipopigmentata, ipereflessia.
E’ presente frequentemente un severo disturbo del sonno e in età più avanzata può comparire un quadro di obesità legato alla riduzione del movimento e, se si associa ipotonia, anche scoliosi secondaria e deformità articolari.
La risonanza magnetica cerebrale non mostra quadri malformativi anche se può rivelare la presenza di lieve atrofia e lievi alterazioni nello sviluppo della mielina; gli esami ematico chimici e metabolici sono normali (1-2).
Aspetti genetici.
Come detto in precedenza, la Sindrome di Angelman è una malattia genetica legata ad un difetto di espressione del gene UBE3A; in un individuo sano è espresso nella maggior parte dei neuroni solamente il gene ereditato in linea materna mentre la copia paterna è epigeneticamente silente. I meccanismi molecolari che possono portare ad una espressione deficitaria o mancante del gene UBE3A materno sono di quattro tipi: 1) una delezione sul cromosoma materno a livello della regione 15q11-q13 che comprende il gene UBE3A, 2) una disomia uniparentale paterna per il cromosoma 15 (presenza di due cromosomi di origine paterna e nessuno di origine materna), 3) un difetto di “imprinting” che causa una mancanza di espressione della copia materna dell’UBE3A e infine 4) mutazioni dell’allele ereditato in linea materna.
Nel 65-75% dei casi si riscontra un quadro di delezione la cui entità varia tra 5-7 Mb ma che meno comunemente può essere di minore estensione; i casi di disomia uniparentale costituiscono invece circa il 7% mentre le mutazioni a livello della copia materna del gene si osservano fino al 15% dei casi. I difetti di imprinting infine vengono stimati attorno al 3%: in questo caso l’anomalia non è dovuto ad una mancanza dell’allele materno ma ad un difetto nei meccanismi che coinvolgono la regolazione dell’”imprint” durante la gametogenesi; difetti sia genetici (piccole delezioni) che epigenetici (pattern anomali di metilazione del DNA in assenza di delezioni) a livello del centro regolatore dell’imprinting all’interno della regione 15q11.2-q13 modificano la metilazione e l’espressione genica con la conseguenza che questi bambini, pur ereditando un cromosma 15 da ciascun genitore, abbiano un epigenotipo paterno su entrambi i cromosomi. Infine nel 10% dei bambini con fenotipo proprio della sindrome di Angelman i test genetici sono negativi (1-2).
Tutti i quadri genetici alla base della sindrome portano ad un quadro clinico sostanzialmente simile anche se alcune differenze cliniche correlano con il genotipo. Diversi studi hanno suggerito che bambini con sindrome di Angelman dovuta a delezioni hanno livelli di sviluppo inferiori rispetto a quelli con altri difetti genetici e bambini con delezioni maggiori sembrano avere minori abilità cognitive rispetto a quelli con delezioni più piccole; bambini con difetti di “imprinting” e disomia uniparentale presentano livelli più avanzati di sviluppo e abilità linguistiche. Tali lavori tuttavia si basano su misurazioni non standardizzate o su piccoli gruppi di pazienti.
In un recente lavoro condotto su 92 bambini con sindrome di Angelman e volto a valutare la correlazione genotipo-fenotipo si è confermata la correlazione tra la presenza di una delezione e la gravità del ritardo di sviluppo in tutte le aree ad eccezione di quella linguistica (2).
Le esigenze complesse di questi bambini necessitano una presa in carico interdisciplinare; accanto all’equipe medica costituita dal Neuropsichiatra Infantile e dal Pediatra, che coordinano l’intervento di eventuali altri specialisti, sono di fondamentale importanza gli operatori della riabilitazione ed in particolare il terapista della riabilitazione e il logopedista o esperto di comunicazione aumentativa.
Allo stato attuale la terapia farmacologica è sintomatica e costituita da farmaci utili nell’ambito pediatrico, da farmaci antiepilettici e da farmaci che possono migliorare gli aspetti comportamentali e il disturbo del sonno.
Prospettive terapeutiche
Nonostante non vi sia dunque attualmente una terapia farmacologica eziologica, la ricerca scientifica sta aprendo nuove strade che portano una speranza in questa direzione anche se in via ancora del tutto sperimentale e non ancora applicabile alla pratica clinica. Come si sa i tempi della ricerca non sono quelli delle famiglie che comprensibilmente attendono risultati certi che diano una nuova speranza, ma accettare che la ricerca si esprima con il massimo rigore non può che essere una garanzia per i bambini affetti e per le loro famiglie.
Tre principali filoni principali di ricerca sono attualmente in corso: il primo riguarda l’utilizzo della L-Dopa in soggetti adulti e bambini con sindrome di Angelman, il secondo filone è relativo invece alla possibilità di trattare la malattia agendo sull’espressione genica ed in particolare inducendo l’espressione del gene paterno (che è normalmente silente), mentre il terzo filone concerne l’utilizzo di un farmaco detto minociclina.
Per quanto riguarda il primo di questi filoni, si è osservato nel modello animale murino con sindrome di Angelman una correlazione tra i deficit funzionali di alcune aree cerebrali, in particolare l’ippocampo, e alterazioni biochimiche, in particolare un’ aberrante autofosforilazione con riduzione dell’attività di un particolare enzima detto Chinasi di tipo II-Calcio/Calmodulina-dipendente (CaMKII), noto in letterature per il suo coinvolgimento nei processi di plasticità cerebrale e di apprendimento(3).
Ulteriori studi hanno confermato tale dato e mostrato come l’inibizione di tale fosforilazione sia in grado di ripristinare l’attività enzimatica e migliorare le competenze motorie, l’apprendimento, le problematiche legate all’aumento ponderale e delle crisi epilettiche (4).
Nell’ambito del Simposio Scientifico del 2009 della Fondazione Sindrome di Angelman, sono stati pubblicati i risultati di un trial sull’uso di L-Dopa in topi con mutazione per Sindrome di Angelman: prima del trattamento vi era una differenza significativa rispetto al gruppo di controllo dei livelli delle monoammine e delle alterazioni della CaMKII nelle regioni cerebrali analizzate, mentre dopo il trattamento viene riportato nei soggetti mutati un miglioramento parziale delle funzioni motorie e un aumento della suscettibilità alle crisi epilettiche insieme ad un parziale recupero del deficit della CaMKII (5). E’ attualmente in corso un trial in doppio cieco della durata di tre anni, diretto dal Dr. Tann del Children’s Hospital di Boston, su pazienti pediatrici con Sindrome di Angelman, volto a valutare l’effetto del trattamento con L-Dopa sugli aspetti motori e dello sviluppo in bambini con questa sindrome (6).
Il secondo filone di ricerca, come anticipato in precedenza, è volto invece a trovare strategie farmacologiche in grado di attivare l’allele paterno del gene UBE3A che è epigeneticamente silente nel tessuto cerebrale al fine di supplire alla mancanza del gene materno.
Due recenti studi in doppio cieco su pazienti con Sindrome di Angelman hanno valutato gli effetti dell’implementazione nella dieta di sostanze pro-metilanti (betaina e acido folico nel primo studio e L-5-metiltetraidrofolato, creatina, betaina e vitamina B12 nel secondo) sulla base dell’evidenza che, nei soggetti normali, la porzione di DNA che regola l’espressione del gene UBE3 è completamente metilata sul cromosoma materno e completamente non-metilata su quello di origine paterna. Il razionale su cui gli autori hanno basato lo studio è dunque quello di valutare se l’incremento di sostanze pro-metilanti nella dieta potesse favorire la metilazione dell’allele paterno e la conseguente attivazione. I risultati non hanno tuttavia mostrato globalmente un miglioramento clinico significativo del gruppo trattato rispetto al gruppo di controllo (7-8).
Un lavoro recente sul modello animale ha invece valutato l’efficacia di farmaci antitumorali ad azione inibitoria a livello di particolari proteine dette topoisomerasi; tali farmaci sembrerebbero in grado di attivare l’allele paterno del gene UBE3A nel modello murino (9). Ulteriori studi sono necessari per confermare tale dato al fine di permettere una eventuale successiva sperimentazione anche nell’uomo.
È attualmente in corso, infine, un trial clinico sperimentale su bambini con Sindrome di Angelman diretto dal Prof. Weeber dell’Università del Sud della Florida; tale studio, che si concluderà nel Novembre 2012, è basato su dati derivanti da esperimenti sul modello animale ed è volto a valutare i possibili benefici di un ciclo di trattamento con Minociclina, una molecola della classe degli antibiotici detti tetracicline, sugli aspetti motori e dello sviluppo in soggetti affetti dalla sindrome (10). Nella letteratura scientifica, infatti, sono pubblicati diversi lavori, soprattutto in ambito sperimentale, che dimostrano i possibile effetti positivi di tale farmaco in alcune delle più comuni malattie neurologiche dell’età adulta come la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, la malattia di Parkinson e lo stroke cerebrale (11).
In un recente studio sono stati pubblicati i dati relativi agli effetti del trattamento con minociclina in pazienti affetti da sindrome dell’X Fragile: dopo un trattamento della durata di 8 settimane si sono osservati alcuni miglioramenti soprattutto sugli aspetti comportamentali. Nonostante alcuni limiti metodologici, le conclusioni erano dunque incoraggianti verso un ulteriore approfondimento di questo tipo di trattamento in tali pazienti (12).
Lo studio in corso del Prof. Weeber, che si basa su queste evidenze, è il primo che si propone di valutare l’uso della minociclina in pazienti con Sindrome di Angelman.
Nonostante a tutt’oggi non vi sia ancora una terapia eziologica per la Sindrome di Angelman e non vi siano evidenze sperimentali certe nell’uomo, i dati provenienti dalla letteratura scientifica sembrano aprire nuove possibilità di trattamento e nuove speranze per i pazienti e le famiglie.
Autore: Filippo Palestra*, Paola Martelli, Elisa Fazzi*
U.O. di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza,Spedali Civili , *Università degli studi di Brescia.
1) “Clinical and genetic aspects of Angelman Syndrome” Williams C. A. et al. Genetics in Medicine 2010; 12(7): 385-395
2) “A neurodevelopment survey of Angelman Syndrome with genotype-phenotype correlations” Genitlr J. K. et al. Journal of Development & Behavioral Pediatrics 2010; 31 (7): 592-601
3) “Derangements of hippocampal calcium/calmodulin-dependent protein kinase II in a mouse model for Angelman mental retardation syndrome” Weeber E. J. et al. The Journal of neuroscience 2003; 23 (7): 2634-2644
4) “Rescue of neurological deficits in a mouse model for Angelman Syndrome by reduction of αCaMKII inhibitory phosphorylation” Van Woerden G. M. et al. Nature Neuroscience 2007; 10(3): 280-282
5) “Angelman Syndrome at the synapse: meeting report of the Angelman Syndrome Foundation’s 2009 Scientific Symposium” Williams C. et al. Journal of Child Neurology 2010; 25: 254-261
6) http://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT01281475
7) “Duble-blind therapeutic trial in Angelman Syndrome using Betaine and Folic Acid” Peters S.U. et al. American Journal of Medical Genetics 2010; Part A 152A: 1994-2001
8) “A therapeutic trial of pro-methylation dietary supplements in Angelman Syndrome” Bird L.M. et al. American Journal of Medical Genetics 2011; Part A155:2956-2963
9) “Topoisomerase inhibitors unsilence the dormant allele of Ube3a in neurons” Huang H.-S. et al. Nature 2012; 481:185-189
10) http://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT01531582
11) “Minocycline and neurodegenerative diseases” Kim H-S. et al. Behavioural Brain Research 2009; 196: 168-179
12) “Open-label add-on treatment trial of minocycline in fragile X syndrome” Paribello C. et al. BMC Neurology 2010; 10:91