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Da Bergamo a Rotterdam e ritorno. Intervista a Monica Sonzogni

Nel mese di giugno la ricercatrice Monica Sonzogni ha concluso il dottorato all’Erasmus Medical Center di Rotterdam grazie a una borsa di studio finanziata dall’Associazione Angelman e realizzata da From-Fondazione per la ricerca dell’Ospedale di Bergamo. L’abbiamo incontrata nei giorni scorsi alla conferenza organizzata da From nell’ambito del festival Bergamo Scienza. Ci ha parlato dei risultati dei suoi studi e dello stato della ricerca sulla sindrome di Angelman, ma anche della sua esperienza personale e professionale in Olanda e del perché è importante sostenere la ricerca sulle malattie rare.

Nata a Sedrina (Bergamo) nel 1990, nel 2012 ha conseguito la laurea triennale in biotecnologie e nel marzo 2015 la laurea magistrale in biotecnologie molecolari.
Nel giugno 2015 ha iniziato il Dottorato di Ricerca al Dipartimento di Neuroscienze dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, uno dei centri più all’avanguardia al mondo nello studio della Sindrome di Angelman, nel laboratorio del professor Ype Elgersma, illustre neuroscienziato molecolare. Sonzogni ha studiato in laboratorio i meccanismi che stanno alla base delle malattie del neurosviluppo, in particolare della Sindrome di Angelman, in vista di un possibile inquadramento terapeutico di questa malattia.
La sua attività di ricerca biologica e preclinica ha
indagato in particolare la finestra terapeutica più efficace e la durata della terapia e ha portato a scoperte importanti e a tre pubblicazioni scientifiche che la vedono come prima autrice.

“Nel laboratorio olandese ci si occupa di diverse malattie del neurosviluppo tra cui la Sindrome di Angelman. In questi quattro anni mi sono occupata dello studio di questa sindrome, causata da mutazioni o delezioni che provocano la perdita della proteina funzionale UBE3A. La ricerca odierna sulla sindrome di Angelman si occupa principalmente dello sviluppo di farmaci contro la Sindrome di Angelman. A tal fine in questi 4 anni abbiamo cercato di chiarire alcuni aspetti della malattia e funzioni della proteina UBE3A che è mancante o malfunzionante nei pazienti”.

Come si svolgeva il suo lavoro in laboratorio? 

“L’attività in laboratorio variava in base ai risultati ottenuti dagli esperimenti precedenti, ma soprattutto dal tipo di domanda scientifica che ci si poneva di volta in volta. Al mio arrivo in laboratorio 4 anni fa ci siamo posti diverse domande, in particolare quando UBE3A svolge la propria funzione a livello cerebrale e dove svolge questa funzione a livello neuronale. La mia attività in laboratorio si concentrava principalmente sullo studio di nuovi modelli animali di sindrome di Angelman. Ho caratterizzato questi modelli murini dal punto di vista comportamentale e dal punto di vista biochimico e grazie a loro ho potuto caratterizzato al meglio la funzione della proteina UBE3A, sia a livello temporale (quando serve UBE3A) sia a livello spaziale (dove serve UBE3A)”. 

Quali risultati avete ottenuto?

“Durante il mio dottorato, soprattutto negli ultimi mesi di ricerca, ho  pubblicato tre articoli che contengono la maggior parte degli studi e degli esperimenti che ho svolto in laboratorio.

Il primo articolo intitolato ‘ A behavioral test battery for mouse models of Angelman syndrome: a powerful tool for testing drugs and novel Ube3a mutants’ (doi: 10.1186/s13229-018-0231-7) e pubblicato sul giornale scientifico Molecular Autism a settembre 2018,  descrive le potenzialità di specifici esperimenti comportamentali (test battery) che abbiamo testato in laboratorio su diversi modelli murini di Sindrome di Angelman. In passato alcuni farmaci, tra cui Minocycline e L-Dopa, sono stati suggeriti come benefici per la terapia della sindrome di Angelman. Tuttavia i risultati ottenuti nei successivi trial clinici hanno dimostrato un effetto nullo dei due farmaci. L’inefficacia osservata in campo clinico, è stata confermata nel nostro paper nei modelli animali di sindrome di Angelman che non hanno mostrano alcun beneficio dopo la somministrazione dei due farmaci (L-Dopa e Minocycline). Gli esperimenti definiti nel paper come “test battery” saranno utili per standardizzare in modo efficace lo screening di farmaci contro la sindrome di Angelman e per studiare la funzione di UBE3A in nuovi modelli murini.

Il secondo paper, pubblicato sempre su Molecular Autism a maggio 2019 e intitolato ‘Delayed loss of UBE3A reduces the expression of Angelman syndrome-associated phenotypes’ (doi: 10.1186/s13229-019-0277-1), raccoglie una serie di esperimenti svolti col fine di rispondere a due domande in particolare: quando serve la proteina UBE3A? E qual è la finestra terapeutica migliore per i pazienti affetti da Sindrome di Angelman? Studi precedenti, pubblicati sempre dal laboratorio di Ype Elgersma, hanno suggerito che le funzioni di UBE3A si svolgono principalmente nelle prime fasi embrionali dello sviluppo. In linea con questi risultati, una terapia genica di riattivazione dell’espressione della proteina UBE3A mostra la massima efficace solo se attuata per tempo. Grazie a questo studio abbiamo dimostrato che UBE3A ha una funzione minima ma non nulla dopo lo sviluppo cerebrale. Questi dati suggeriscono dunque che per ottenere benefici terapeutici ottimali, l’espressione di UBE3A deve essere non solo presente fin dalle prime fasi dello sviluppo embrionale ma che deve essere mantenuta attiva anche dopo la fase del neuro sviluppo.

Infine, il paper più recente, pubblicato a giugno 2019 su Nature Neuroscience dal titolo ‘Loss of nuclear UBE3A causes electrophysiological and behavioral deficits in mice and is associated with Angelman syndrome’ (doi: 10.1038/s41593-019-0425-0), cambia l’attuale visione di come UBE3A causa la sindrome di Angelman. Precedenti lavori di diversi gruppi di ricerca hanno stabilito che le sinapsi dei modelli animali di sindrome di Angelman funzionano in modo non ottimale e che questo deficit è probabilmente alla base del grave ritardo dello sviluppo neurologico. Poiché UBE3A è presente nelle sinapsi dei neuroni, quasi tutte le ricerche su UBE3A si sono concentrate sul suo ruolo a livello sinaptico, senza però chiarire quale sia la sua funzione precisa. UBE3A è presente anche in altri punti del neurone, in particolare è molto abbondante nel nucleo, il quale contiene il DNA della cellula che ne determina la sua funzione. Con questo nuovo studio siamo riusciti a rivelare come UBE3A è in grado di entrare nel nucleo. Pertanto, lo studio si è focalizzato sulla possibilità che mutazioni di UBE3A riscontrate nei pazienti con la sindrome di Angelman, possano bloccare il trasporto di UBE3A nel nucleo. In effetti, sono state descritte tre mutazioni in UBE3A associate alla sindrome in cui la proteina non è più presente nel nucleo.

Per studiare ulteriormente l’importanza della localizzazione di UBE3A nei neuroni, abbiamo generato nuovi modelli di sindrome di Angelman che esprimono o meno la proteina UBE3A a livello nucleare. Topi mancanti della proteina UBE3A nel nucleo hanno dimostrato di avere non solo gli stessi deficit comportamentali osservati in topi affetti dalla sindrome di Angelman, ma anche gli stessi problemi sinaptici. Con questo studio siamo dunque riusciti a evidenziare che la proteina UBE3A ha una funzione critica a livello nucleare. Studi futuri chiariranno il ruolo preciso di UBE3A nel nucleo e come questo si colleghi alla fisiopatologia della sindrome. Ciò sarà fondamentale per lo sviluppo di nuovi farmaci”.

In concreto queste scoperte cosa comportano per la ricerca di una terapia e per i malati?

“Tutti e tre i lavori che ho appena descritto saranno utili per la ricerca di una terapia per i malati di sindrome di Angelman, ognuno per uno specifico motivo. I risultati scientifici sono spesso comparabili ai tasselli di un puzzle. Ognuno di essi è necessario per avere infine un quadro chiaro della situazione. Questi tre articoli che abbiamo pubblicato ne sono un esempio. Il primo paper sarà utile per la ricerca di una terapia per i malati di Angelman perché è il punto di partenza per lo screening ottimale di farmaci. Senza l’uso di modelli preclinici di malattia ottimali non si può trovare una terapia efficace, e nell’articolo vi sono descritti alcuni esempi concreti. Il secondo articolo scientifico è altrettanto utile per la ricerca di una terapia perché abbiamo chiarito maggiormente quali sono le tempistiche di una terapia in caso di riattivazione dell’espressione genica. Infine, con l’ultima pubblicazione su Nature Neuroscience siamo riusciti trovare un nuovo meccanismo patofisologico della malattia, fondamentale per lo sviluppo di nuovi farmaci contro la sindrome di Angelman”.

A che punto è la ricerca sull’Angelman? 

“In continua crescita, molto progredita  dallo scenario che si presentava solo quattro anni fa. Sono molto contenta di aver fatto parte del gruppo di ricerca di Ype Elgersma, che in questi ultimi anni ha dato molti input e luce su aspetti non noti della malattia e della funzione di UBE3A”.

Crede che la terapia genetica rappresenti una possibilità concreta e vicina per i malati Angeman? Perché? 

“Grazie alla terapia genica è possibile agire sulla causa principale della sindrome, ossia la mancanza del gene UBE3A. Essa rappresenta uno dei mezzi più efficaci per indurre la riattivazione dell’espressione di UBE3A, che è mancante a livello neuronale nei pazienti affetti da sindrome di Angelman. Come suggerito precedentemente, la terapia per essere efficace deve essere attuata il prima possibile, ma potrà essere in futuro una possibilità concreta per la maggior parte dei pazienti Angelman”.

Che esperienza è stata per lei questo dottorato, a livello personale e professionale?

“La vita di laboratorio mi ha fatto crescere come ‘scienziata’, ho potuto imparare nuove metodiche e soprattutto mi sono potuta confrontare con altri colleghi. È bello poter imparare come studiare una malattia sotto diversi aspetti e con diversi mezzi. Ma mi ha cambiata anche a livello personale, penso in meglio. Ho conosciuto persone fantastiche e fatto nuove amicizie. Ovviamente nel mio percorso all’estero ho incontrato anche periodi difficili. È in questi momenti che cresci ancora di più come persona e che stringi legami forti con le persone che ti circondano. È un’esperienza di vita che consiglierei a chiunque”.

Cosa le mancherà di più e cosa di meno di Rotterdam? 

“Non riesco a dire cosa mi mancherà di meno, riesco solo a dire che Rotterdam mi mancherà, assieme ai miei capi, colleghi e amici e alla vita di laboratorio che mi ha fatto capire sempre di più quanto sia importante e fondamentale la buona ricerca scientifica”.

Perché è importante sostenere le borse di studio dei ricercatori? E perché è stata ed è importante questa borsa? 

“A causa delle politiche degli ultimi anni, l’istruzione e la ricerca sono state messe in secondo piano. Senza l’aiuto di realtà come l’Associazione Angelman e FROM, la ricerca di base in Italia sarebbe ancora più in difficoltà. Grazie a queste associazioni e fondazioni molti ragazzi hanno la possibilità di realizzare un percorso di studi importante per il loro futuro e per il bene della società. Come dimostrano il numero e il tipo di pubblicazioni che ho menzionato prima, la mia borsa di studio è stata ed è importante per fare buona ricerca e aiutare sempre di più i ricercatori che si occupano dello studio della sindrome di Angelman. Ringrazio  tutti quanti hanno l’hanno resa possibile: i benefattori dell’Associazione Angelman, la famiglia di Emma e From che ha seguito gli aspetti amministrativi e tecnici con grande professionalità”. 

Che progetti ha per il futuro?

“Mi piacerebbe poter continuare a lavorare in un laboratorio di ricerca e mettere a frutto tutto ciò che ho imparato all’estero nel laboratorio del professor Elgersma”.

intervista di Roberta Martinelli

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